Escursione Val Zebrù: Traversata alta al Rifugio V Alpini

Si tratta di un itinerario con spiccate caratteristiche naturalistiche, vocazione principale di questa bella valle vanto del Parco Nazionale dello Stelvio, che unisce il molto probabile incontro con ungulati di grossa taglia, soprattutto lo stambecco, con osservazioni di carattere geologico e geomorfologico estremamente interessanti. Il percorso si svolge, infatti, quasi per intero su di una frattura della crosta terrestre che riveste, nell’area alto-Valtellinese, una rilevante importanza geologica e della quale non si può fare a meno di fare un breve cenno descrittivo. Gli studiosi delle scienze della terra hanno battezzato “linea dello Zebrù” questa lungissima spaccatura che ha inizio nella zona del Gran Zebrù e continua tagliando proprio in due la omonima valle per proseguire sotto la Reit e il Monte Scale e, lungo la Val Vezzola e la Val Pila, finire nel Livignasco.
Essa isola, a rord, tutto un insieme di montagne formate da rocce sedimentarie, di chiara origine marina. Durante la formazione della catena alpina, che ha avuti inizio circa duecento milioni di anni fa, questo massiccio calcareo-dolomitico, sviluppatosi in un antico mare simile all’attuale Mar Mediterraneo, fu spinta da inimmaginabili forze che agivano in senso orizzontale. Esso “sovrascorse” (come dicono i tecnici) per parecchi chilometri su quel basamento di natura completamente diversa che sono le rocce cristalline-scistose che si ritrovano, appunto, a sud della “Linea dello Zebrù”, e che formano le montagne che vanno dal Cevedale, al gruppo del Confinale, al Bormiese, al Foscagno ed, infine, al Livignasco occidentale. La “Linea dello Zebrù” taglia in senso longitudinale tutta questa valle, da cima a fondo, e da essa ha giustamente preso il nome.

Essa rappresenta, quindi, una lunghissima cicatrice della crosta terrestre. E si spiegano, allora, molti aspetti legati a queste montagne che non solo interessano i naturalisti o gli studiosi ma, più direttamente, anche gli alpinisti. Il fatto, per esempio, che le più belle creste o pareti di questa zona siano intimamente fratturate e rotte (“marce”, come si dice in gergo alpinistico), e quindi creino seri problemi di sicurezza per chi vi arrampica, è direttamente legato a questi fenomeni geologici. Non è così, infatti, per le compatte pareti delle Dolomiti, pur essendo formate dagli stessi tipi di rocce. E questo spiega pure la morfologia di questa valle, tanto aspra e dirupata nelle sue parti a nord, con le pareti strapiombanti e selvagge dal Cristallo alle Cime di Campo e così via fino al Gran Zebrù, quanto mansueta ed a confronto, in apparenza, insignificante nelle sue pareti a sud, con i dossi e gli ampi valloni del gruppo Forni-Confinale. E la natura chimica delle diverse formazioni rocciose, basica a nord della “Linea dello Zebrù” ed acida a sud di essa, spiega anche la diversità delle specie vegetazionali (unita anche a caratteristiche topografiche quali, per esempio, l’esposizione dei versanti).

Itinerario Traversata alta al Rifugio V Alpini
Dal Rifugio di Campo si scende ad attraversare il Torrente Zebrù e ci si porta sull’evidente sentiero a solatio che, tra i mughi, risale a zig.zag la sponda destra della valle, proprio in faccia allo stesso Rifugio. Guadagnando circa trecento metri in dislivello si raggiungono i calcarei avancorpi meridionali di quella costiera rocciosa, che discende dal Passo dei Camosci, chiamata Sàsc Rodònt, da non confondere con gli altri Sàsc Rodònt che ci sono nella zona.Il sentiero punta, ora, orizzontalmente verso levante e, oltrepassato un ghiaioso valloncello, si biforca. Il ramo di destra porta, in breve, alla Baita Pastori. Si prende quello di sinistra che sale obliquamente su pendii erbosi e detritici e si addentra poi, più dolcemente,

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Difficoltà: escursionistico
Dislivello: 900 metri
Tempo: ore 3

Tratto dalla guida Rifugi alpini, bivacchi e itinerari scelti, © Alpinia Editrice, Bormio se vuoi acquistare la Guida clicca qui...


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Diga di S. Giacomo
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