Bormio e la caccia alle Streghe

Il Bormiese conobbe la sua prima caccia alle streghe nel 1483, quando le inquisite venivano condannate vive al rogo con l'accusa di eresia e di venerazione del demonio. Questo atteggiamento repressivo, che si schierava a favore della liberazione dal male, provocò allora l'uccisione di ben 41 streghe nel Contado di Bormio, che s'immaginava si cibassero di bambini preferibilmente non battezzati. Il tribunale di Bormio richiamò nuovamente gli inquisitori nel 1519 e la seconda caccia allle streghe fu aperta.

Molte furono le condannate, tanto che un tedesco ricorda che in Valtellina e Contadi ne furono giustiziate 300 dal 1512 al 1531. Il loro ultimo viaggio partiva dalla piazza del "Kuerc" di Bormio, su cui s'affacciava Palazzo Pretorio contenente le carceri, per terminare in località "La Giustizia" (fra Premadio e Bormio) dove le attendeva un falò volutamente pubblico.

I Grigioni, divenuti padroni del Bormiese nel 1512, con decreto emanato nel 1557 impedirono l'entrata sui territori Valtellinesi agli ecclesiastici e per questo motivo le seguenti cacce alle streghe non si avvalsero più di tribunali ecclesiastici, bensì di giudizi civili.

Ogni carestia, terremoto, frana, alluvione, etc. richiedeva un colpevole che spesso veniva identificato "con la strega; come accadde durante la peste del 1630 che falcidiò la popolazione dell'Italia del nord, risparmiando miracolosamente la Comunità di Bormio, che comunque viveva nell'angoscia e nella paura, attivando un substrato ideale per far scattare una nuova ondata di stregoneria.

La cattura di una presunta strega doveva ottenere la confessione della vittima (che generalmente avveniva sotto tortura) per poter procedere all'uccisione della stessa, previa decapitazione e successivo rogo. Spesso questa confessione attivava una serie d'altre catture; ogni strega ammetteva infatti di aver ballato ai sabba con altre streghe, di aver operato malefici in gruppo, di aver avuto maestre nell'utilizzo di erbe allucinogene o nell'uso delle ossa di bambini morti per comporre unguenti, o ancora d'essere state istruite sui gesti e sulle formule da compiersi o sull'educazione magica per diventare lupi, capre, o altro.

Alla denuncia di altre persone seguiva la cattura e successivamente, quasi per tutte, l'uccisione. Se fortunatamente le malcapitate riuscivano a fuggire prima dell'arresto, esse venivano bandite a vita dal territorio quali "ree confesse" e mai avrebbero potuto rientrarvi: pena l'uccisione senza processo.

Ancora fra il 1645 e il 1650 i roghi furono più volte accesi, ma dopo tale data si assistette all'intervento del Vescovo che tentò di fermarne il fenomeno, ordinando maggior cautela nei processi. Questo non bastò e nel 1675 altre 37 persone furono giustiziate, dopo la ricerca e l'avvenuto ritrovamento su di esse del"bollo del diavolo" ( corrispondente ad un neo, una cicatrice, una macchia scura o altro) segno identificativo d'appartenenza delle stesse al demonio.

I Gesuiti istituirono il confortatorio , ovvero un locale nel Palazzo Pretorio, dove le condannate potevano ottenere conforto la sera precedente l'esecuzione. L'ultima strega condannata a morte nel Bormiese fu, nel 1715, Elisabetta Rocca di Oga.
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